Prima Domenica di Avvento – Ad Te levavi

Testo:

Ad te levavi animam meam: Deus meus, in te confido, non erubescam: neque irrideant me inimici mei: etenim universi, qui te expectant non confundentur.

Traduzione:

A Te ho innalzato la mia anima. Dio mio, confido in Te, che io non arrossisca, né ridano di me i miei nemici, e non saranno confusi tutti quelli che Ti attendono.

(cfr Sl 24, 1-4)

Commento al testo:

Il testo è preso dai versetti iniziali del salmo 24, 1-4 – secondo la traduzione della Vulgata – con una significativa differenza nell’ultima frase dove nel gregoriano troviamo “Qui te expectant” che traduce la versione greca del salmo, mentre nella Vulgata il testo riporta “Qui sustinent te”.

Il verbo “sustineo” significa portare, sopportare; in esso è implicato anche un aspetto di tentazione (sopportare la tentazione) che il verbo “expectare” non ha. La scelta del verbo “expectare” richiama il tempo di Avvento che inizia.

Il brano è formato da due grandi frasi divise a loro volta in due:

  1. Ad te levavi animam meam
  2. Deus meus, in te confido non erubescam
  1. Neque irrideant me inimici mei
  2. Etenim universi qui te expectant non confundentur

L’elevazione dell’anima[1] non è espressa in modo irruento: pur dando slancio alla voce questo rimane pacato e punta non tanto al verbo levavi, quanto ad animam che viene ad essere il centro di questo primo arco melodico.

La stessa melodia di animam viene ripetuta su Deus come a mostrare una corrispondenza, il “luogo” verso cui l’anima viene innalzata; su meus la melodia si leva al punto più acuto e ci si sofferma sottolineando queste parole che richiamano il grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato”. S. Agostino infatti si domanda: “come potrò elevare la mia anima, se non la eleva con me colui che ha offerto la sua per me?”.

Con in Te confido l’arco melodico comincia a ridiscendere in maniera delicata verso la conclusione della prima frase dell’antifona: è una confessione di fiducia e di abbandono in Dio.

La seconda parte dell’antifona (2.1) è ancora legata alla frase precedente, ma la melodia di nuovo si alza, diventa quasi imperiosa ad esprimere il fremito del giusto contro i nemici. Benedetto XVI spiegava: “in questa invocazione risuona anche il grido di tutti i giusti, di tutti coloro che vogliono resistere al male, alle seduzioni di un benessere iniquo, di piaceri offensivi della dignità umana e della condizione dei poveri. All’inizio dell’Avvento la liturgia della Chiesa fa proprio nuovamente questo grido, e lo innalza a Dio”[2].

L’ultima parte della frase risulta tutta piuttosto scorrevole, la melodia raggiunge nuovamente l’acuto su Te expectant: tutti coloro che attendono pongono la loro speranza in Dio elevano l’anima a Lui.

È interessante anche notare che questo introito è in ottavo modo[3]. Il numero 8 infatti era simbolo di perfezione, di compimento, di tempo definitivo. L’ottavo modo ha spesso in sé un’esplicita allusione all’ottavo giorno, giorno della risurrezione, inizio della nuova creazione.

 Non a caso il triplice alleluia della veglia di Pasqua ha questa stessa sonorità. Tale riferimento non ci sembra casuale: il canto gregoriano ha presente, sullo sfondo, l’intero e unico mistero di Cristo.

L’“Adventus Domini”, come spiegava S. Bernardo ai suoi monaci, infatti è triplice: poiché Egli è venuto nella carne,verrà alla fine dei tempi nella gloria, ma viene continuamente a visitarci nell’Eucaristia, ma anche attraverso la Sua Parola e nella realtà. Lo scopo della lectio è proprio imparare riconoscere queste visite e a metterci in ascolto vigilante perché non accada che Gesù venga e se ne vada senza che noi ce ne accorgiamo.

Uno sguardo d’insieme alla liturgia:

Nella I Domenica di Avvento il richiamo alla vigilanza è molto forte e legato ai segni apocalittici della fine dei tempi. Si fa memoria anzitutto dell’ultimo Avvento del Signore alla fine dei tempi. Le pericopi evangeliche della I domenica di Avvento parlano tutte degli ultimi tempi, ma è in particolare nel Vangelo dell’anno C (Lc 21,25-28.34-36) che risuona l’invito: “quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Negli altri anni è sempre presente il richiamo a “destarsi dal sonno”, levarsi, vegliare, decidersi per la conversione.

L’introito – e poi tutti gli altri canti della Messa gregoriana che ripropongono sempre lo stesso salmo come una vera lectio in musica – ci suggerisce di levare la nostra anima verso Dio attendendo da Lui la nostra redenzione. Esprime così quello che deve essere il nostro atteggiamento di fronte ai fatti apocalittici – “ho levato a te la mia anima” – e la domanda “che io non resti confuso”. I nemici possono essere quelli che ci spaventano dicendoci che tutto è finito, ma anche quelli che ci distraggono dai segni dei tempi (e ci lasciano nel nostro beato sonno). È da loro che chiediamo a Dio di proteggerci.

Bologna, Biblioteca Angelica, Codex Angelicus 123

[1] Questa miniatura nella A di “Ad Te levavi” mostra un monaco che alza l’anima, raffigurata come un bambino, verso Cristo che benedice dall’alto. (Laon, Biblioteca municipale, MS 240)

[2] Benedetto XVI, Omelia durante i I vespri della I domenica di Avvento, 29 novembre 2008

[3] I “modi” sono una classificazione delle melodie gregoriane in base a 8 scale musicali. Ognuno di essi ha due note caratteristiche: la finalis (cioè l’ultima nota del brano) e la corda di recita (cioè la nota principale su cui si cantano i versetti salmici).