Antifona di ingresso per la Vigilia di Natale (mattino)
Testo:
Hodie scietis, quia veniet Dominus, et salvabit nos: et mane videbitis gloriam ejus.
Traduzione:
Oggi saprete che il Signore verrà e ci salverà. E domani vedrete la Sua gloria. (Is 35,4; Es 16, 7b)
Commento:
Il testo di questo introito unisce due citazioni dell’Antico Testamento. La prima frase – “Quia veniet Dominus, et salvabit vos” – riprende il capitolo di Isaia in cui il profeta dice: “fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca […] Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi»”. La differenza fondamentale è che nell’introito odierno la venuta di Dio non comporta più una vendetta, ma la nostra salvezza definitiva. La seconda frase – “Et mane videbitis Gloriam ejus” – si trova nel capitolo dell’Esodo in cui Dio, di fronte alla mormorazione di Israele nel deserto, promette la manna dal cielo. La gloria che Dio promette di mostrare il mattino seguente è infatti proprio la manna[1]. Come scriveva S. Agostino: “Mi sazierò quando si manifesterà la tua gloria. Egli e il Padre sono una cosa sola e chi vede lui vede anche il Padre. Perciò il Signore potente è il re della gloria. Convertendoci ci mostrerà il suo volto e noi saremo salvi e ci sazieremo e questo ci basterà”[2].
Il deserto che fiorisce per confortare i pusillanimi è figura dell’Incarnazione nella nostra terra arida; la manna dal cielo richiama il Verbo che si fa carne e che si fa nostro nutrimento nel presepe, nella greppia di Betlemme. Richiama l’unità del mistero del Figlio che si fa carne per nutrirci di Lui.
La melodia gregoriana esprime tutto questo sottolineando tre parole: Hodie, gloriam e salvabit. Le prime due – Hodie e gloriam – si richiamano a vicenda avendo la medesima melodia nel graduale cistercense. Con la ripercussione di tre note uguali sembrano voler esprimere il dilatarsi dell’oggi eterno di Dio che entra nel tempo dell’uomo di cui parla S. Agostino: “Non è giorno che passi per ritornare dopo un ciclo annuale; ma rimane senza tramonto perché ha avuto inizio senza alba. Quell’unico Verbo di Dio, quella vita, quella luce degli uomini è il giorno eterno”[3]. Questo hodie è molto più che un oggi cronologico e passeggero, è un presente eterno, che dice la presenza tra noi del Mistero, o meglio il nostro entrare nel Mistero di Dio e il Suo manifestarsi a noi attraverso la liturgia. Se da un lato dunque è un oggi temporale, che prelude all’indomani in cui sarà effettivamente Natale, è al tempo stesso segno della contemporaneità di tutto l’evento della Redenzione.
È ciò che testimonia la parola salvabit – ci salverà – in cui risuona, inconfondibile per un orecchio un poco abituato al gregoriano, la stessa melodia dell’alleluja di Pascha nostrum (antifona di comunione della veglia pasquale), come a suggerire già fin d’ora come il Signore ci salverà: attraverso la sua immolazione e risurrezione, attraverso il dono di se stesso fino alla fine, fino a darsi come nostro cibo nell’Eucaristia. “E infatti Cristo nostra Pasqua è stato immolato, celebriamo dunque la festa con azzimi di sincerità e di verità”[4]. Ci conferma questo legame tra la venuta di Cristo nella carne e quella nell’Eucaristia anche Guglielmo di Auxerre: “Cristo è la vera manna, o meglio il pane, che discende dal cielo come la rugiada sulla rosa, senza corromperla, ma rinnovando il mondo intero”[5]. E Sicardo di Cremona spiega: “Oggi saprete e domani vedrete la Sua gloria, vale a dire che nel tempo della grazia conoscerete per esperienza il Verbo incarnato; si dice in senso spirituale a coloro, che furono presenti alla nascita del Salvatore e meritarono di ricevere la vera manna. Questa breve frase è vera da un lato per la Natività, ma d’altro lato riguarda la Risurrezione, così oggi, cioè nella vita presente, saprete che viene il Signore, cioè il pane vivo che scende dal cielo, e domani, cioè nella gloria della risurrezione, vedrete non solo l’umanità, ma anche la gloria della Sua divinità”[6].
Non è affatto strana questa eco di Pasqua alla vigilia del Natale, vi è infatti una profonda correlazione tra mangiatoia e croce. Qualcosa di simile è espresso anche nell’iconografia, ne è un esempio l’icona bizantina della natività di A. Rublëv in cui un fascio di luce in forma di croce, scende dall’alto sul capo del piccolo Gesù, che è strettamente avvolto in bende e posto in una mangiatoia che sembra un sarcofago, prefigurazione del suo futuro sacrificio.
[1] Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: “Questa sera saprete che il Signore vi ha fatti uscire dal paese d’Egitto; domani mattina vedrete la Gloria del Signore”. […] Il Signore disse a Mosè: “Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio”. Ora alla sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. (Es 16, 7-14)
[2] S. Agostino, Discorso 194, 3 – Sul Natale, Nuova Biblioteca Agostiniana vol. XXXII/1
[3] S. Agostino, Discorso 188, 2 – Sul Natale del Signore, Nuova Biblioteca Agostiniana vol. XXXII/1
[4] Queste sono le parole di 1Cor 5, 7-8 che costituiscono il testo del communio Pascha nostrum
[5] Guglielmo di Auxerre, Summa de Officiis Ecclesiasticis, Trattato III, 8,2
[6] Sicardo di Cremona, Mitrale, libro V cap. V, In vigilia Natalis Domini.