Epifania del Signore: Ecce advenit

Testo:

Ecce advenit Dominator Dominus: et regnum in manu ejus, et potestas, et imperium.

Traduzione:

Ecco è arrivato il Signore Dominatore; nella Sua mano sono il regno, la potestà e il comando.

(cfr Mal 3,1; 1Cr 29,11-12)

Commento:

Il testo è “collage” di vari frammenti della Scrittura, in cui l’autore gregoriano ha anche fatto qualche modifica e in particolare ci sembra significativo il cambio del tempo verbale. Infatti dove nel libro di Malachia[1] c’è un futuro – veniet – qui troviamo un indicativo (presente o perfetto) – advenit – che ci richiama l’Avvento (adventus), come a dire che quel tempo di attesa ora ha trovato compimento: Colui che abbiamo atteso è venuto, è qui. Quello di Malachia è il libro dell’Antico Testamento e subito dopo segue il vangelo di Matteo. E il legame tra i due Testamenti è nelle parole di Gesù che applica al Battista e a se stesso proprio la profezia di Malachia, citata nell’introito di oggi.

Tuttavia, la cosa più interessante dell’introito Ecce advenit è che, piuttosto che preoccuparsi del testo nella sua letteralità, ne prende l’essenziale per spiegarci il senso dell’Epifania secondo ciò che il Salvatore aveva annunciato fin dall’inizio dell’Avvento, poiché l’Epifania è il culmine verso cui il Natale stesso è diretto. Per tutto l’Avvento e il Natale ricorre l’espressione “Ecco” – Ecce. Ma è l’Epifania l’Ecce definitivo. L’incipit sottolinea con forza la concreta realizzazione delle attese del periodo di Avvento. Questo, musicalmente, è evidenziato soprattutto dalla parola Ecce, che riprende la stessa melodia dell’introito d’Avvento Veni: il canto, partendo dal La grave, sale di slancio alla corda di recita Fa per poi andare a posarsi sulla finalis[2] Re. In Veni si esprimeva un anelito; in Ecce si afferma un fatto[3]: come una luce che sorge a illuminare la venuta del Re quasi ad indicare la solidità delle promesse e la certezza della loro attuazione; compimento di un viaggio, quello dei Magi, ma – come spiega S. Agostino – anche nostro. “… fino ad oggi essi furono in viaggio […] Sotto la guida della medesima stella arrivarono finalmente al Signore e vedutolo lo adorarono. Cambiando la via è cambiata anche la vita. Anche per noi i cieli hanno annunziato la gloria di Dio; anche noi siamo stati condotti ad adorare Cristo dalla verità che risplende nel Vangelo, come da stella nel cielo; anche noi abbiamo ascoltato fedelmente la profezia che è risuonata di tra mezzo al popolo giudaico […]; anche noi, riconoscendo e lodando Cristo nostro re e sacerdote, morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro e incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una nuova via, ritornano da una via diversa da quella per la quale siamo venuti”[4].

Il messaggio che segue è tutto incentrato sulla regalità di Cristo. Descrive la Sua manifestazione con pochi termini essenziali e di grande forza. La melodia sottolinea proprio questa potenza attraverso il continuo passaggio tra Re e Fa, ma anche con le numerose ripercussioni mettono in risalto e dilatano tre parole chiave – Dominator, regnum, potestas – ed esprimono al contempo la stabilità della regalità messianica.

Queste tre diverse qualificazioni della regalità di Cristo vengono sottolineate dalla costruzione del testo e della melodia: la stabilità del regno che Egli tiene nelle Sue mani; la potestas assoluta del Figlio dell’Uomo; l’imperium, che avevamo già trovato nell’introito di Natale “Puer natus”, qui è l’ultima parola e su di essa la melodia scende ampia e addolcita quasi a volerci far sostare in adorazione con i Magi dinanzi al Dio Bambino, l’unico vero Re, il cui Regno non è di questo mondo.

Così il gregoriano traduce in canto ciò che spiega S. Agostino: “Ci si manifestano insieme la sua grandezza e la sua umiltà: mentre si manifestava nell’immensità del cielo con i segni degli astri, si faceva trovare, dopo essere stato cercato, in un angusto rifugio […] Quel sommo re, che punisce i re empi e sostiene i pii, non è nato come nascono i re del mondo; anch’egli è nato, ma il suo regno non è di questo mondo”.

Così, facendo eco a S. Agostino, il canto ci invita a far sì che il cuore concordi con la voce[5]:

“Ora dunque, carissimi, figli ed eredi della grazia, considerate la vostra chiamata e aderite con tenacissimo amore al Cristo che si è manifestato ai Giudei e ai pagani come pietra angolare. Si è manifestato già fin dalla culla della sua infanzia a quelli che erano vicini e a quelli che erano lontani: ai Giudei nei vicini pastori, ai pagani nei lontani magi […] Quella pietra angolare congiunse ambedue a sé: infatti è venuto a scegliere ciò che è stolto per il mondo per confondere i sapienti e a chiamare non i giusti ma i peccatori, affinché nessuno, per quanto importante, s’insuperbisca e nessuno per quanto miserabile, si disperi”[6].

 

 


[1] Ecco, io manderò il mio angelo ed egli preparerà la via davanti a me; e subito verrà al suo tempio il principe che voi cercate e l’angelo dell’alleanza che voi desiderate verrà, dice il Signore degli eserciti. (Mal 3,1 – nostra traduzione dalla Vulgata)

[2] Finalis è l’ultima nota del brano e la corda di recita è la nota principale su cui si cantano i versetti salmici. Queste in gregoriano sono le due note più importanti della scala.

[3] Si veda anche quanto già riportato a proposito di Salve sancta parens.

[4] S. Agostino, Discorso 202, 3.4, in Nuova Biblioteca Agostiniana vol. XXXII/1

[5] S. Benedetto, Regola, cap. XIX, 7

[6] S. Agostino, Discorso 200, in Nuova Biblioteca Agostiniana vol. XXXII/1