SS. Madre di Dio – Salve Sancta Parens

Testo:

Salve Sancta Parens, enixa puerpera Regem: qui coelum terramque regit in saecula saeculorum.

Traduzione:

Salve, santa Madre, che hai partorito il re, che governa il cielo e la terra per i secoli dei secoli.

(Sedulius, Carmen Paschale, Libro II, vv, 62-63)

Commento:

In questa festa di Maria, Madre di Dio, la Chiesa manifesta il famoso principio: Lex orandi, lex credendi, cioè ciò che la Chiesa prega e canta è ciò che la Chiesa crede e professa. E quello che canta oggi è un saluto alla “Madre di Dio”. Questo attributo così speciale dato a Maria è attestato da una preghiera che i cristiani d’Egitto le dedicavano[1] già due secoli prima che questo titolo di Madre di Dio (Theotokos) fosse ufficialmente riconosciuto, al Concilio di Efeso (431).

Il testo di questo introito è tratto dal “Carmen paschale” di Sedulius Caecilius, vissuto nel V secolo.

È probabilmente entrato nei libri liturgici solo nel tardo medioevo e gli fu applicata la melodia dell’introito dell’Epifania, Ecce advenit[2].

La melodia è in secondo modo come l’introito di Natale Dixit Dominus, anche qui lo stretto intervallo tra finalis (Re) e corda di recita (Fa) è legato all’evento della generazione. Il testo sottolinea questo aspetto attraverso l’accumulo di tre parole – parens, enixa e puerpera – che sono quasi sinonimi e indicano tutti la realtà del parto.

La prima frase – Salve Sancta Parens, enixa puerpera Regem – è poco ornata, semplice imperniata sull’intervallo Re-Fa. In generale possiamo vedere la finalis (Re) come “luogo dell’uomo” (terra) e la corda di recita (Fa) come “luogo di Dio” (cielo). Il fatto che la melodia su puerpera rimanga insistentemente sul Fa, come farà anche su qui coelum nella seconda frase, crea un legame di significato, come per comunicarci che la sua maternità divina è un prodigio che supera le possibilità umane: è il cielo stesso che viene generato da Maria.

Nella seconda frase – Qui coelum terramque regit in saecula saeculorum – l’attenzione da Maria si sposta sul Regno di questo Re che ella ha generato. Egli è Colui che regge e unisce il cielo e la terra. Mentre coelum rimane fermo sul Fa, terramque scende al Re pur senza perdere il suo legame col Fa, ma con una melodia più movimentata che fiorisce poi su regit e in saecula saeculorum: tutti i tempi sono attirati verso l’alto, verso Dio; anche il tempo infatti, come la terra e il cielo, è retto da Dio, va verso di Lui e in Lui trova il suo compimento.

Agostino esprime splendidamente quale debba essere l’atteggiamento del nostro spirito di fronte a tutto questo: “C’è di che ammirare: chi lo ha generato è madre ed è vergine…Allatta, o madre, il nostro cibo; allatta il pane che viene dal cielo, posto in una mangiatoia […] Allatta, o madre, Colui che ti ha fatto tale da poter farsi lui stesso in te; che, concepito, ti ha dato il dono della fecondità e nato non ti tolse l’onore della verginità… Eri ancora portato nelle braccia materne e già eri riconosciuto come Dio dell’universo. Tu piccolo bambino della stirpe d’Israele e insieme Dio con noi, l’Emmanuele. […] Lodiamo, amiamo, adoriamo questo Figlio della Vergine, Sposo dei vergini, nato da Madre incorrotta e che nutre con incorruttibile verità, affinché noi possiamo essere vincitori, per la sua misericordia, dell’astuzia del diavolo[3].

Una parola ulteriore merita la formula d’intonazione “Salve sancta Parens” che non solo è – come si diceva sopra – uguale a “Ecce advenit”, ma ricalca anche un altro incipit: quello dell’introito di avvento “Veni et ostende”. Questi richiami in genere non sono casuali nel gregoriano, bensì hanno il preciso scopo di creare dei collegamenti tra diversi momenti liturgici, di mostrare l’unità del Mistero che celebriamo nel tempo. In questo particolare caso:

  • In Veni chiediamo al Signore che mostri il suo Volto;
  • in Ecce advenit il Signore dei signori è venuto e ci ha mostrato il Suo Volto;
  • in Salve sancta Parens vediamo la Madre che ci presenta il Figlio appena partorito: sta proprio in mezzo.

Inoltre in tutti e tre gli introiti ritornano indicazioni di regno e di potere:

  • Veni: Colui che siede sui Cherubini;
  • Salve: Colui che regge il cielo e la terra;
  • Ecce: Colui il cui potere e dominio è nelle sue mani.

Come non possiamo incontrare il Volto di Dio, se non per mezzo della Chiesa,così non possiamo incontrare Gesù, l’Atteso delle Nazioni, se non per mezzo di Maria.

Icona della Madre di Dio Vladimirskaja (XII sec.)

Così Benedetto XVI, prendendo spunto dall’icona della Madre di Dio Eleusa[4] spiegava:

“Tra le molte tipologie della Vergine Maria nella tradizione bizantina vi è quella detta “della tenerezza” che raffigura Gesù Bambino con il viso appoggiato guancia a guancia a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre e questa guarda noi, quasi a riflettere, verso chi osserva, la tenerezza di Dio, discesa in lei dal cielo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio. In questa icona mariana noi possiamo contemplare qualcosa di Dio stesso: un segno dell’amore ineffabile che lo ha spinto a “dare il suo figlio unigenito”. Ma quella stessa icona ci mostra anche, in Maria, il volto della Chiesa che riflette su di noi e sul mondo intero la luce di Cristo, la Chiesa mediante la quale giunge ad ogni uomo la buona notizia: “non sei più schiavo, ma figlio”[5].

Origine ed evoluzione della festa:

Il 1° gennaio era dedicato ai saturnali in onore di Giano bifronte con tutti i loro eccessi. S. Agostino nel suo Sermone 198 invita al digiuno espiatorio e alla preghiera in ecclesia: “Essi si scambiano le strenne, voi fate le elemosine; essi si divertono con canti lascivi, voi ricreatevi con l’ascolto delle Scritture; essi corrono al teatro, voi correte alla chiesa; essi si ubriacano, voi digiunate […] Vivete da figli della luce”. Si andò così stabilendo inizialmente l’uso di una S. Messa con carattere penitenziale, intitolata “ad prohibendam ab idolis”[6]. Questa festa decadde col venir meno del paganesimo.

Nel VII secolo, si celebrava il 1º gennaio una festa generica in onore di Maria, Natale Sanctae Mariae, con testi della Messa per le Vergini. Quando si adottarono nuove feste mariane, anche questa festa scomparve. La celebrazione del 1º gennaio cambiò nome varie volte: da Natale sanctae Mariae a Ottava di Natale, a Circoncisione del Signore, e di nuovo a Ottava di Natale. La celebrazione di Maria come Madre di Dio era dapprima la II domenica di ottobre, poi fissata nel calendario romano all’11 ottobre e solo nel 1969 fu trasferita al 1º gennaio come solennità.

Nell’esortazione apostolica Marialis cultus del 2 febbraio 1974, papa Paolo VI spiegò:

“Nel ricomposto ordinamento del periodo natalizio Ci sembra che la comune attenzione debba essere rivolta alla ripristinata solennità di Maria Ss. Madre di Dio; essa, collocata secondo l’antico suggerimento della Liturgia dell’Urbe al primo giorno di gennaio, è destinata a celebrare la parte avuta da Maria in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne deriva per la Madre santa… per mezzo della quale abbiamo ricevuto… l’Autore della vita”.


[1] Ci riferiamo alla preghiera del “Sub tuum praesidium”: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.
Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o sempre Vergine gloriosa e benedetta.

[2] Fu scelta la melodia di questo introito probabilmente perché in entrambi i testi si fa riferimento a Cristo come Re.

[3] S. Agostino, Discorso 369, 1, Nuova Biblioteca Agostiniana vol. XXXIV – (PL 39, 1655-1657)

[4] Eleusa, dal greco bizantino, significa “colei che mostra tenerezza o che mostra misericordia”.

[5] Benedetto XVI, Omelia 1° gennaio 2010

[6] Che significa “per proibire gli idoli”, cioè per allontanare i cristiani, ancora imbevuti di paganesimo, dai culti idolatrici.