Ottava domenica di Pasqua – Pentecoste – Spiritus Domini

Testo:

Spiritus Domini replevit orbem terrarum, alleluia. Et hoc, quod continet omnia, scientiam habet vocis, alleluia, alleluia, alleluia. (Sap 1,7)

Traduzione:

Lo Spirito del Signore ha riempito tutta la terra, alleluia. E Colui che tiene insieme tutto, ha conoscenza di ogni voce, alleluia, alleluia, alleluia.

Commento tra testo e musica:

Il testo è tratto dal Libro della Sapienza.

L’Introito è in VIII modo, il modo simbolo di pienezza, perché ricorda l’ottavo giorno, quello della risurrezione. A partire dalla spiegazione che S. Agostino dà della simbologia del numero 50 (da cui il nome della festa di Pentecoste) si può capire perché sia stato scelto per questo introito il modo ottavo, anziché il VII che solitamente è utilizzato per lo Spirito Santo; a questo numero, infatti, si giunge moltiplicando il numero 7 (simbolo dello Spirito Santo) con la settimana (7×7); in questo modo arriviamo al numero 49 a cui poi si deve aggiungere 1, per ricordare l’unità.

Questo stesso senso di pienezza e di compimento è comunicato dalla musica nell’incipit dell’Introito e nelle parole replevit orbem terrarum: la melodia si estende alla sua massima altezza e con le ripercussioni su terrarum esprime l’espansione e il distendersi dello Spirito Santo con i suoi doni di grazia su tutta la superficie della terra.

L’orbem terrarum è, secondo i medievali, la Chiesa che è stata pienamente ricolmata dello Spirito e può così portare il Vangelo a tutti i popoli. Il dono dello Spirito Santo è elargito solo in essa: “Gli eretici e gli scismatici, benché siamo convinti che anch’essi abbiano il battesimo di Cristo, non ricevono lo Spirito Santo se non aderiscono alla compagine dell’unità attraverso la comunione della carità” (S. Agostino, Disc. 269).

Accanto al senso di pienezza Agostino parla anche dell’unità, dono dello Spirito e rappresentato simbolicamente dal dono delle lingue, e che dice l’unità della Chiesa pur nella sua universalità. Tale dono è ricordato nell’Introito dalle parole et hoc quod continet omnia, scientiam habet vocis: lo Spirito, cioè, conosce la voce di tutte le creature ed è capace di mantenerle nell’unità; “come infatti dopo il diluvio i superbi ed empi uomini edificarono una torre elevata contro il Signore, per cui il genere umano meritò di essere diviso in diversi ceppi linguistici… Così l’umile pietà dei fedeli riportò all’unità della Chiesa la diversità delle lingue; perché ciò che la discordia aveva disperso venisse raccolto [hoc continet omnia] dalla carità e le membra sparpagliate del genere umano, come membra di un unico corpo, venissero riunite, ben compaginate, all’unico capo, Cristo, e si fondessero col fuoco dell’amore in un unico corpo santo” (S. Agostino, Disc. 271).

Nota storico liturgica:

La Pentecoste era un festa ebraica e aveva nella Bibbia un carattere di ringraziamento per il raccolto quasi giunto al termine; con il tempo tale significato andò attenuandosi e ad esso si sovrappose la commemorazione del dono della Legge. La liberazione o «redenzione» d’Israele, che aveva avuto inizio con l’esodo, – e che si commemorava a Pasqua – si completava solo nel dono della Legge, perché era la Legge che faceva d’Israele il vero popolo di Dio. Pentecoste divenne quindi commemorazione del giorno solenne in cui Dio diede la Torà al popolo Ebraico sul monte Sinai, 50 giorni dopo la Pasqua.

Tale festa venne cristianizzata solo dopo molto tempo; nel III secolo infatti esistevano ancora comunità che concludevano il tempo pasquale con l’Ascensione. Dal IV-V secolo Pentecoste divenne invece la festa di conclusione solenne della gioia del periodo pasquale: il dono dello Spirito era infatti il compimento delle promesse di Gesù ai suoi discepoli e la vera Legge scritta nei cuori dei discepoli. A Gerusalemme, come ebbe a vedere la pellegrina Egeria, le funzioni liturgiche di Pentecoste duravano ininterrottamente tutto il giorno.