Settima Domenica di Pasqua – Ascensione – Viri Galilaei

Testo:

Viri galilei, quid admiramini aspicientes in coelum? Alleluia. Quemadmodum vidistis eum ascendentem in coelum, ita veniet, alleluia, alleluia, alleluia.

(cfr. At 1, 11)

Traduzione:

Uomini di Galilea, perché vi meravigliate guardando verso il cielo? Alleluja. Allo stesso modo in cui lo avete visto salire al cielo, così verrà. Alleluja, alleluja, alleluja.

Commento tra testo e musica:

L’introito dell’Ascensione cita le parole che gli angeli rivolgono agli apostoli, ma modifica il testo della Vulgata sostituendo il verbo “statis” con “admiramini”: non dice genericamente “perché state a guardare verso il cielo?”, ma “perché vi meravigliate guardando verso il cielo?”. Evidentemente si vuole sottolineare l’atteggiamento degli apostoli all’ascensione di Gesù.

Ascensione di Giotto, Padova, Cappella degli Scrovegni

Le collette del tempo di Quaresima e di Pasqua ci hanno spesso richiamato a tenere il pensiero rivolto verso le realtà celesti; ora, nel giorno in cui siamo chiamati a contemplare Cristo che ascende al cielo con la sua carne umana, la voce degli angeli in questo introito non ci dice tanto di non guardare il cielo, ma di non stupirci del fatto che il Signore sia asceso, di non limitarci ad una reazione sentimentale di meraviglia e insieme di umana nostalgia per il fatto che il Risorto è sparito oltre le nubi e non sarà più in mezzo ai suoi come prima. Questa tristezza nostalgica, che è ben presente in certi brani della settimana che precede l’Ascensione[1], era sottolineata anche dal carattere penitenziale dei tre giorni delle Rogazioni che si svolgevano proprio in questi giorni. Ma tali sentimenti troppo “terreni” vengono, in un certo senso, corretti dalla liturgia dell’Ascensione, che li orienta verso la speranza e la gioia piena della Pentecoste. Per questo motivo la melodia dell’introito di oggi usa il modo VII, quello che spesso in gregoriano dà voce agli angeli e che simboleggia i sette doni dello Spirito Santo. Non c’è nulla di triste, nulla di faticoso in questa melodia; tutto, al contrario, è pieno di slancio fin dall’incipit “Viri Galilaei” quasi fossimo richiamati insieme gli apostoli a non ripiegarci, bensì a levarci, a seguire con gioia l’ascesa di Gesù. Lo stesso salto di quarta (Sol-Do) ritorna nuovamente all’inizio della seconda frase, ma questa volta la tensione musicale punta a sottolineare non tanto la salita verso l’alto, quanto piuttosto la promessa “veniet” (verrà).

  1. Bernardo nel suo II sermone per l’Ascensione dice: “Verrà, ma nel modo con cui è asceso, non come prima è disceso. Prima era venuto umile per salvare le anime; verrà invece in forma sublime per risuscitare questo cadavere e conformarlo al corpo della sua gloria… Allora si vedrà apparire con grande potenza e maestà ciò che prima era nascosto nella debolezza della carne. Perciò, o carissimi, perseverate nella disciplina che avete accolto, così che possiate ascendere dall’umiltà alla sublimità […] Solo l’umiltà esalta, solo lei conduce alla vita”. È qui evidente il riferimento alla Regola di S. Benedetto dove il verbo “ascendere” è più volte usato proprio per indicare il cammino dell’umiltà, necessario per conformarci a Cristo.
Particolare del “pannello di Reider”, bassorilievo in avorio risalente al 400 c.a.

Questa solennità è antica e S. Agostino la fa risalire agli stessi Apostoli, ma non ci sono prove storiche. Ne abbiamo invece attestazioni a partire dal IV secolo nel Diario di Egeria, che però descrive questa solennità ancora fusa con quella di Pentecoste: a Gerusalemme il giorno di Pentecoste ci si recava al mattino in processione fino alla chiesa sul Monte degli Ulivi, dove è avvenuta l’Ascensione, cantando inni. Si tornava solo a tarda sera in città, sempre in processione. Nel Medioevo venne introdotta in tutta la chiesa latina una processione, che secondo Ruperto di Deutz non è tanto la rappresentazione del cammino degli apostoli con Gesù verso il monte degli Ulivi, ma il Suo ingresso trionfale in Cielo accompagnato dal corteo regale che siamo noi.  Così preghiamo nella colletta: “nel Tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a Te e noi, membra del suo Corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo nella gloria”.

Ascensione di Cristo, bassorilievo in avorio, X sec.

Nel Vangelo, Gesù promette agli apostoli che non saranno soli; Sarà con loro ogni giorno fino alla fine del mondo. Una promessa incredibile! Il Signore è con noi, anche quando non lo percepiamo e il cielo sembra lontano; in mezzo a noi, in mezzo al mondo, ci apre lo splendore del cielo. Siamo forse più abituati a immagini dell’Ascensione in cui Gesù sale al cielo stando su una nuvola (come nel celebre affresco di Giotto), ma in alcune antiche rappresentazioni (come i due bassorilievi che riportiamo qui) si vede Gesù che sale afferrato alla mano del Padre che sbuca dal cielo. In una la sua ascesa pare una scalata, ancora con i piedi ben piantati a terra, nell’altra sembra bucare il cielo creando quasi un vortice che trascina verso l’alto. In Cristo anche noi, che siamo suo Corpo, siamo afferrati e tirati su dalla mano del Padre!

Così diceva Benedetto XVI: In Cristo asceso al cielo, l’essere umano è entrato in modo inaudito e nuovo nell’intimità di Dio; l’uomo trova ormai per sempre spazio in Dio. Il “cielo”, questa parola cielo, non indica un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: indica Cristo stesso, la Persona divina che accoglie pienamente e per sempre l’umanità, Colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti. L’essere dell’uomo in Dio, questo è il cielo. E noi ci avviciniamo al cielo, anzi, entriamo nel cielo, nella misura in cui ci avviciniamo a Gesù ed entriamo in comunione con Lui. Pertanto, l’odierna solennità dell’Ascensione ci invita a una comunione profonda con Gesù morto e risorto, invisibilmente presente nella vita di ognuno di noi.


[1] Ad esempio gli alleluja “Modicum” e “Vado”.