di Madre Rosaria Spreafico, badessa di Vitorchiano
TRADUZIONE:
Non si finisce mai di meditare il tema che era stato scelto per la settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani del 2002: “IN TE E’ LA SORGENTE DELLA VITA”, perché è fondamentale per il cammino di riconciliazione fra i cristiani.
“IN TE E’ LA SORGENTE DELLA VITA” è un invito a riconoscere la gratuità dell’amore di Dio, che si è manifestato per noi lungo la storia della salvezza nel creare, sostenere, rinnovare e redimere l’umanità intera. Una reale unificazione tra le diverse confessioni può avvenire solo nella misura in cui riconosciamo che è un Altro la sorgente della nostra vita: una vita che ci è stata data nella creazione e ridata nella redenzione. L’uomo da sé non può ottenere la riconciliazione: solo l’uomo Gesù, che viene da Dio, può espiare per noi e togliere i nostri peccati; solo in Cristo noi possiamo ritornare al Padre, convertirci ed essere riconciliati con Lui. Gesù è veramente l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo: in queste parole sono racchiusi il suo mistero e la sua missione, come ben commenta San Cirillo d’Alessandria:
Un solo agnello è morto per tutti, salvando tutto il gregge umano e riportandolo al Padre. Uno per tutti, per sottomettere tutti a Dio: uno per tutti per salvare tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi ma per Colui che è morto e risuscitato per loro (cfr. 2 Cor 5,15).
Diventare ecumenici vuol dire anzitutto riconoscere che questo è il centro più intimo del messaggio cristiano. Quando insieme riconosciamo di dover tutto al Signore, il nostro peccato, invece di essere occasione di ostilità e durezza reciproche, può divenire felix culpa, occasione di testimoniare la grandezza della misericordia di Dio; è un Amore più grande del nostro cuore che già agisce, senza attendere che guariscano totalmente le ferite che le nostre colpe hanno inferto alla testimonianza cristiana.
L’atteggiamento che ci fa vivere nella consapevolezza che la vita la riceviamo da un Altro è la gratitudine: imparare a ringraziare per il fatto di esistere, di essere stati redenti, cioè riconciliati con Dio senza alcun merito, e testimoniare con la propria vita questo dono agli altri. Quando iniziamo a sentirci debitori nei confronti di Dio diveniamo capaci di scorgere cose prima nascoste ai nostri occhi, ci è donata una nuova chiave di risoluzione per questioni più grandi di noi.
Questo tema della gratitudine richiama moltissimo la testimonianza della Beata Maria Gabriella Sagheddu, che ha offerto la sua giovane vita perché si affretti il giorno in cui, attorno alla mensa della Parola e del Pane, tutti i credenti lodino Dio con un cuore solo e un’anima sola.
“Non potrò mai ringraziare abbastanza”, affermava Maria Gabriella. Sono parole che traducono un cuore umile e grato, di chi sa che può solo ringraziare, di chi sa di non avere corrisposto abbastanza.
Quella grande figura ecumenica che fu la badessa di Sr. M. Gabriella, Madre Pia Gullini, dovendo dare alcune risposte allo scrittore domenicano Gastone Zananiri sull’offerta della giovane monaca, nei suoi Quaderni autografi, esprime così il senso di questo gesto e rivela quali ne sono le condizioni:
“Lei mi chiede se l’olocausto della propria vita è una tradizione cistercense. Io penso che sia un bisogno di ogni anima generosa, soprattutto in clausura. Non abbiamo nient’altro che noi stesse: abbiamo dato tutto, ci siamo date coi voti in modo normale. Vogliamo ora
sottolineare l’offerta, aggiungendovi un significato di consumazione sofferente e la rinuncia della vita con una morte prematura”.
E’ interessante come Madre Pia parla dell’offerta: è un bisogno di ogni anima generosa … ci siamo date con i voti in modo normale… vogliamo ora sottolineare l’offerta, aggiungendovi un significato di consumazione sofferente…
Queste parole rivelano in profondità la legge dell’Amore. Chi conosce l’amore di Dio, infatti, sperimenta che non può limitarsi ai suoi comandi e ai suoi consigli: vuole andare oltre… sente l’esigenza di qualcosa di più liberamente dato, non perché Gesù lo obbliga a farlo, ma perché percepisce che è a Lui gradito.
E’ nel qualcosa di più che si nutre e irrobustisce l’amicizia con il Signore; è in quel qualcosa di più, che oggi può essere solo un’intuizione, che si impara man mano a dare tutto.
Così è stata la disponibilità di Gabriella. Ma ascoltiamo quello che Madre Pia dice di lei: “La sua docilità e il suo abbandono provenivano – mi sembra – dal fatto che aveva intuito la grandezza di Dio e, senza analizzare i suoi sentimenti, viveva nell’adorazione concreta di quel Dio che l’aveva scelta e l’amava. Si sentiva così indegna, così piccola, così niente: da questo derivano la sua umiltà e la sua gratitudine”.
Per la Beata Gabriella, l’aver intuito la grandezza dell’amore di Dio ha portato come conseguenza il suo modo di amare Dio: non tanto una offerta gratuita, ma una restituzione doverosa. L’aver intuito la grandezza dell’amore di Dio non la fa sentire nella posizione del donatore, di chi pensa di aver qualcosa da offrire a Dio perché è bravo e virtuoso … “Si sentiva così indegna, così piccola, così niente: da questo derivano la sua umiltà e la sua gratitudine”.
La vera moralità nasce da qui, tutto il resto è solo moralismo: una pianificazione virtuosa della propria vita per cui non è necessario Cristo e meno che mai Cristo Crocifisso e Risorto.
Si capisce bene perché San Bernardo, nel De diligendo Deo afferma che Dio deve essere amato senza prefiggersi una ricompensa (cap. VII, 17): stiamo restituendo, stiamo ringraziando e questo in misura mai sufficiente: la vita già ci è stata data, e ridata con la morte e la risurrezione del Signore.
Se nel cuore aspettiamo la ricompensa, se anche solo pensiamo di “meritarci” il dono della vocazione cristiana, se pensiamo di dare con questo qualcosa a Dio, siamo ancora lontani dall’avere compreso l’amore di Dio.
La memoria grata della salvezza immeritata scava nel cuore lo spazio per la sete della gloria di Dio, la gloria di Lui solo, sete che ci rende dimentichi di ogni attaccamento a particolarismi, rivendicazioni, pretese e ambizioni.
Ma ascoltiamo ancora come Madre Pia esprime questa esperienza di gratitudine:
“Non aveva nessuna pretesa: tutto le sembrava gratuito, immeritato, senza prezzo. Viveva di riconoscenza. Il “grazie” era il respiro della sua anima. Nelle sue rare relazioni con quelli che erano incaricati di lei non chiedeva nient’altro che di aiutarla ad amare sempre di più. Grazie… Grazie… La gratitudine di cui Gabriella ha sempre vissuto si dilata, è come un oceano dove la sua anima si butta e si immerge. Ella non ne uscirà più. Sulle sue labbra le parole per esprimere questa riconoscenza saranno invariabilmente semplici e modeste, ma avranno il timbro della profondità che le anima”.
Questo atteggiamento di riconoscenza è stato totalizzante nella vita di Gabriella e possiamo considerarlo come il frutto della sua breve vita, frutto che però comprende altre disposizioni che lo verificano e ne comprovano l’autenticità. Possiamo ancora leggere nella testimonianza di Madre Pia quali sono queste disposizioni del cuore grato di Gabriella.
Anzitutto, la sua disponibilità a lasciarsi fare: Gabriella ha detto il suo SI al Signore, ma poi la strada, la modalità con cui è stata presa in parola, l’ha ricevuta passo dopo passo da Lui, e lei si é lasciata guidare. Scrive Madre Pia:
“La passione per il disprezzo era qualcosa di molto grande in lei, che camminava un passo dopo l’altro, senza voler scegliere le strade più dure, ma lasciandosi guidare. Aveva sete di oblio e di sacrificio: una sete continua. Non desiderava né di vivere, né di morire. “Come vuole il Signore”. Non divorava, non bruciava la sua strada, impaziente di averla finita; la terminava passo passo, sempre senza apparenze eroiche. Il Signore l’avrebbe bruciata Lui venendole incontro”.
Un’altra caratteristica di questo cuore riconoscente è la non ricerca di ambizioni: nessun protagonismo nella sua vita. Chi è consapevole che si vive soltanto per restituire il dono ricevuto, non cerca di affermare sé, di mettersi in mostra, anzi ha un certo pudore a parlare della carità a cui partecipa.
“Non ebbe alcuna corrispondenza diretta con i fratelli separati. Così la sua devozione rimase tutta fra lei e Dio, si espresse unicamente nella sofferenza …Suor Maria Gabriella era gelosa della sua carità, come della sua verginità: ne ebbe lo stesso pudore filiale”. Non mettersi in mostra ha significato per Gabriella non cercare alcuna singolarità, ma il calarsi nella normalità della vita comune, in particolare nell’alveo centrale della vita monastica che è la liturgia. Il cuore della Beata Maria Gabriella, così forte e appassionato, eppur tanto umile e schivo, dove poteva trovare un nutrimento più adeguato se non nei sacri misteri della liturgia eucaristica e dell’Ufficio Divino?
Questo è stato il luogo dove la sua vita interiore si è nutrita e rafforzata. Le mirabilia Dei ascoltate, interiorizzate, cantate nella Liturgia, hanno nutrito il suo amore per il Signore e per la Chiesa, dilatando i suoi spazi ai confini non solo del mondo di quaggiù, ma in quella misteriosa eppur reale comunione con la vita degli angeli e del Cielo che diviene esperienza nella liturgia. In questo la nostra sorella si è totalmente inserita nell’esperienza mistica della tradizione cistercense.
“Non si potrebbe pensare una vita interiore più semplice della sua. Niente bravure ascetiche, né sforzi voluti per collocarsi su questo o su quel grado di orazione; nessun bagaglio di devozioni (cioè di preghiere supplementari), né di pratiche aggiunte alla Santa Messa, all’Ufficio Divino”.
Infine il cuore grato di Gabriella si rivelava anzitutto nel senso di appartenenza alla comunità, nell’amore al monastero, che per lei era veramente Gesù. Scrive Madre Pia:
“Il suo monastero per lei era semplicemente: Gesù. Il suo amore, la sua volontà, la sua gloria. Quanto a lei era la sua discepola e la sua sposa, imitando la Santissima Vergine che accoglieva Gesù nel suo seno rispondendo all’Angelo: Ecce fiat mihi”.
Chi sa di aver ricevuto la Vita e tutto da un Altro, non può non appartenere anche al luogo, alla casa dove Lui vive. Nel monastero, Gabriella, nella semplicità della sua adesione, è diventata discepola del Signore, ha detto il suo “Eccomi”. La comunità è diventata così il luogo dell’ascolto e dell’incarnazione della Parola di Dio. Il luogo dove ha imparato a restituire e a dire GRAZIE.
Diventare più ecumenici significa imparare a ringraziare per il Dono della vita e della Redenzione. Dire grazie è la posizione vera davanti a Dio, disintossica i nostri animi, relativizza i nostri malumori, risana le nostre divisioni: la coscienza che da un Altro riceviamo la vita e la salvezza dovrebbe solo farci vergognare per le nostre orgogliose opposizioni e insegnarci a restituire quello che abbiamo ricevuto.