di Madre Lucia Tartara
TRADUZIONE:
Spagnolo
I santi sono gli amici: coloro che non da lontano partecipano della nostra vicenda, conoscono ciò che è il nostro vero bene e ci aiutano a possederlo. La ricchezza di un essere umano sono coloro con i quali egli vive in comunione di affetto e di desideri, in condivisione di preoccupazioni e speranze. Senza di questo ciascuno di noi conosce bene, soprattutto oggi, quale spaventosa solitudine angoscia l’anima. Non conosciamo invece tutti i nostri amici: essi sono molto più numerosi di quanto immaginiamo. Anche chi si crede solo in una stanza davanti al suo computer o nella troppo spesso squallida compagnia della tv è in realtà circondato da presenze.
So bene che a raccontare queste cose, anche a credenti, sembra di descrivere un mondo di fiabe, poiché quello che Ungaretti chiamava “muro d’ombra” (l’ombra del non poter vedere con i nostri occhi di carne e ancor più quella della nostra cecità spirituale) ce le rende incredibili, ma è proprio questa la realtà, più bella di quanto oseremmo sperare: vi sono esseri personali che non percepiamo con i sensi corporei ma che nondimeno ci sono vicini. Viviamo in Dio e il Signore Gesù ci è sempre accanto, così pure la Vergine nostra Madre, gli angeli, i santi.
Vent’anni fa, il 25 gennaio 1983, nella Basilica romana di San Paolo fuori le mura Giovanni Paolo II dichiarava Beata la giovane monaca trappista Maria Gabriella Sagheddu.
In seguito, nel 1995, nella sua lettera enciclica “Ut unum sint” il Santo Padre dichiarava: “Per riaffermare questa esigenza (della preghiera), ho voluto proporre ai fedeli della Chiesa cattolica un modello che mi sembra esemplare, quello di una suora trappista, Maria Gabriella dell’Unità, che (…) ha dedicato la sua esistenza alla meditazione e alla preghiera (…) e l’ha offerta per l’unità dei cristiani. Ecco, questo è il fulcro di ogni preghiera: l’offerta totale e senza riserve della propria vita al Padre…”
Con l’atto della beatificazione di cui oggi facciamo memoria, il Papa proponeva la piccola suora sarda a tutti gli uomini, non solo cristiani e cattolici, quale esempio di santità, ma anche quale amica sicura, incaricandola ufficialmente, per dir così, a nome della Chiesa madre di ogni uomo, di esser loro vicina con la tenerezza, l’attenzione, la capacità e la forza di chi è vicino a Dio.
Quello che vorrei scrivere qui è solo qualche testimonianza su come questa nostra sorella, il cui corpo riposa in una cappella adiacente al nostro monastero e il cui spirito non cessa di vegliare su di noi, ha dimostrato a gente che non conoscevamo, per vie imprevedibili e in ogni parte del mondo, la sua amicizia. Il motivo per cui desidero questo non è per comporne l’elogio in occasione del ventennio dalla beatificazione, e questo non perché la beata Maria Gabriella non se lo meriterebbe. Caso mai dovremmo constatare che lei non ne avrebbe bisogno: i santi non cessano di essere persone umane con un peculiare carattere e lei, da brava sarda, mentre nella sua terrena vita in monastero ha sempre obbedito con semplicità e gioia, giungendo per mezzo di queste virtù alla santità e al Paradiso a soli venticinque anni, dal cielo ha fatto tutto da sé. Se si è divulgata la fama della sua santità non è stato per opera nostra.
Il motivo, dunque, per cui vorrei riferire alcune cose da lei operate dopo il suo passaggio in cielo è semplicemente questo: un’amicizia è più completa se è ricambiata. Vorrei perciò che tutti sapessero di avere un’amica che li ama e la potessero così invocare, ringraziare, riamare.
Innanzitutto voglio dire qualcosa del miracolo che fece approdare alla beatificazione, l’unico del quale è conveniente riportare il nome. Si tratta di Suor Maria Pia Manno di Alcamo, che nel 1947 iniziò ad avere disturbi visivi, e, nonostante le cure di vari medici tra cui un luminare di New York, nel 1960 era completamente cieca, in modo dichiarato irreversibile. La mamma di una sua consorella, in quello stesso anno, aveva chiesto alla badessa di indicarle una santa da pregare per una sua figlia che si era separata dal marito, e la badessa senza una particolare scelta le aveva dato un’immagine di suor Maria Gabriella. La famiglia si ricompose, ma, scrive suor Maria Pia, “Io rimasi piuttosto indifferente, perché mi dicevo: che c’è di strano che due persone sposate si riconcilino?” Ma nella notte del 19 marzo durante il riposo notturno sogna di essere nel coro della chiesa con la comunità. “Sento entrare in mezzo a noi due suore sconosciute di non so quale Congregazione. Queste si avvicinano a due mie consorelle e ordinano loro di leggere due letture dell’ufficio di S. Giuseppe. In quel momento mi son detta: fortuna che non si sono rivolte a me, che non posso leggere. Mentre così pensavo mi si avvicina una delle due suore e mi dice di leggere la lettura del 25 marzo, festa dell’Annunciazione. Io dico che non posso leggere perché mi manca la vista e dico anche che la comunità stava recitando l’ufficio di San Giuseppe e quindi mi meravigliavo che mi si presentasse l’ufficio della Madonna. Questa suora mi toccò con la mano la fronte e mi disse: non si preoccupi, l’aiuto io. In quel momento mi svegliai e mi accorsi che piangevo; mentre ero sveglia tra me andavo dicendo: se quella suora fosse stata suor Maria Gabriella Sagheddu, le avrei potuto dire di darmi la vista. E mi riaddormentai. Il sogno riprese e c’era una sola suora che mi dice: Mi hai forse chiesto la vista? Allora capii che era suor Maria Gabriella Sagheddu. Ricominciai a piangere, la suora mi consolava dicendomi: non ti preoccupare, non ti preoccupare. Allora io dissi: allora potrò vederci senza occhiali? E la suora mi rispose: No! Se tu ti togli gli occhiali, non ricorderai più quello che hai sofferto e non ti ricorderesti più nemmeno di me.”
Qui s’interrompe il sogno e suor Maria Pia non ne parlò a nessuno “perché temevo che la comunità potesse canzonarmi e da parte mia rimanevo piuttosto incredula.”
Ma all’alba del 25 marzo, in coro, riacquistò la vista e potè leggere l’ufficio della Madonna. Tenne gli occhiali e si ricordò sempre della sua nuova amica.
Altre grazie di guarigioni ci vengono segnalate, ma le più numerose sono d’altro genere, più profondo.
Come molti ormai sanno dalle biografie, Suor Maria Gabriella a ventiquattro anni, nel 1938, ben prima del Concilio Vaticano II, aveva sentito il dolore di Cristo per lo scandalo della divisione tra i cristiani e il desiderio di donare la propria vita per la causa dell’unità. E Dio aveva mostrato di gradire immediatamente l’offerta: l’anno seguente la sorellina moriva di tisi, il 23 aprile, domenica del Buon Pastore che dà la vita per radunare nell’unico suo ovile le sue pecore disperse. Per questo la Beata venne chiamata, familiarmente, “Gabriella dell’unità”. Conosceva bene quale grande dono è la comunione delle persone, per il quale il nostro io è fatto immagine della Trinità Santa, lei che fu così legata alla sua comunità monastica da trovare grande e bello tutto quello che la circondava nel monastero e da ritenere più dolorosa della stessa mortale malattia la breve lontananza causata dal necessario soggiorno in ospedale. E’ soprattutto questo dono prezioso, il più intimo e a noi connaturale, che Maria Gabriella vuol donare dal cielo. E sono moltissime le grazie d’unità, perdono, riconciliazione che da allora ha offerto a chi l’ha invocata e spesso a tanti che nemmeno la conoscevano. Si tratta di grazie di conversione: comunione con Dio; riconciliazione tra sposi, tra genitori e figli: unità nelle famiglie. Le più numerose sono grazie donate a donne che non avrebbero potuto avere figli e attraverso di lei ricevono il dono di diventare madri; o al contrario a madri tentate di sopprimere la vita già sbocciata in loro e che attraverso di lei iniziano ad amare.
Se durante la sua vita terrena, precorrendo i tempi, M.Gabriella ha avvertito la sfida rappresentata dalla divisione religiosa, in un’epoca che rischiava di darla semplicemente per scontata, oggi ella mostra di avvertire anche la sfida ancor più terribile e profonda della divisione tra l’essere umano e il luogo della sua origine, il grembo che dovrebbe con la sua accoglienza già insegnargli l’amore. Ne “La bottega dell’orefice” di K. Wojtyla si legge: “L’uomo deve tornare sul luogo dove prese l’avvio la sua esistenza – e desidera ardentemente che essa spunti dall’amore.” Ma proprio questo luogo, originariamente giardino carico di frutti di comunione, è reso a volte deserto d’individualismo egoistico: la solitudine di una madre che non ama, e quella di un figlio rifiutato. E’ già nel grembo che va ricostituita l’unità, in un’epoca che non solo accetta aborto e manipolazioni genetiche, ma considera la comunione come un attentato alla libertà.
Avendo vissuto pienamente la dimensione della figliolanza secondo il carisma benedettino, suor M. Gabriella fu resa idonea alla maternità spirituale: chissà ormai quante vite devono a lei la loro nascita… Il nostro archivio è pieno di foto di bambini. Forse la sorellina dovrebbe ricevere dal Governo un premio per l’incremento della natalità!
Noi siamo sorprese dalle lettere che arrivano da ogni parte del mondo, anche da luoghi in cui non esiste un nostro monastero e in cui non conosciamo nessuno, dalle Hawaj alla Russia, dal South Africa all’Inghilterra: un’immaginetta della Beata finita là chissà come, vista in terra e raccolta, oppure trovata dentro un vecchio libro in una bancarella dell’usato (e via di questo passo…) suscita in chi per caso la trova un inizio d’amicizia e un dono di grazia. Riporterò qui alcune testimonianza tra le più recenti, omettendo i nomi dei loro autori.
“Il mio nome è…, ho 21 anni e abito a…, in Argentina. Scrivo con l’intento di informare di un miracolo ottenuto grazie a suor Maria Gabriella Sagheddu. La mia famiglia e me stavamo passando un momento difficile. I miei genitori hanno mandato via di casa mia sorella e me, spinti da un altro familiare. Io e mia sorella eravamo disperate, vivendo di elemosina e non sapendo come fare per finire gli studi. Un giorno mia sorella rovistando in una cassapanca trovò un’immaginetta di suor Gabriella, la lesse e mi disse che in caso di grazie ricevute bisognava avvertire all’indirizzo che c’era scritto. Allora presi il santino, lo lessi, chiesi che noi potessimo tornare a casa per restare con coloro che più amiamo al mondo (la nostra famiglia), cosa che mi sembrava impossibile, e promisi che se si adempiva, avrei scritto per avvertire. Per questo oggi invio questa lettera, perché di lì a poco eravamo nuovamente nel nostro focolare…” Ancora dall’America latina un uomo scrive “…Il mio caro babbo è morto di tisi, dopo appena quindici giorni di malattia. Io avevo solo 13 anni e sono diventato grande con la convinzione che il mio caro babbo era stato ucciso dall’imperizia dei dottori. Ho letto un libro sulla vita di Maria Gabriella e lei con la sua morte e le sue dolcissime lettere ha disciolto l’odio che mi ha accompagnato in questa trentina di anni. Una ferita molto lontana è stata guarita e ho potuto perdonare e anche capire che il babbo se n’è andato perché così era bene e che aveva sofferto poco dato il carattere della sua malattia. Non so come ringraziare voi tutte e la vostra – nostra carissima Beata. Vi prego di portare una bella rosa alla sua tomba nel nome mio e mia madre.”
Un altro: “Una giovane coppia ha superato una grave crisi e ha ritrovato l’unità e il riavvicinamento alla fede grazie alla nostra beata Gabriella, alla quale siamo ricorsi appena esplosa la crisi. E’ stato un vero miracolo, date le circostanze. Per questo ringraziamo molto il Signore e la Beata…” “Care sorelle, saluti dall’Irlanda. Sto distribuendo immagini della Beata Gabriella… per sua intercessione una donna comincia a godere di un sollievo all’artrite delle dita, che ora può muovere… Un’altra temeva di dover affrontare un grave intervento che invece è stato scongiurato ed è molto riconoscente…” “Nel 1988 mi è stato riscontrato un tumore alla testa: un adenoma ipofisario che ha causato un’acromegalia. Questa malattia comporta tanti disturbi, uno tra questi può essere la sterilità. Eravamo sposati da tre anni e il nostro desiderio di diventare papà e mamma non si realizzava. Ci siamo rivolti ai medici e abbiamo provato con la medicina. Ma i risultati erano sempre nulli. Delusi, ma con un po’ di speranza, ci siamo rivolti alla Beata Maria Gabriella. Tutti i giorni pregavamo così: Beata Maria Gabriella, tu che hai offerto la tua vita al Signore, passando attraverso la sofferenza, sei arrivata agli onori degli altari e sei presso Dio, prega per noi nostro Signore perché il nostro cuore sia sempre più buono e la nostra fede sempre più grande. Ascolta la nostra preghiera perché possiamo vivere nella vera felicità il nostro matrimonio. Prega per noi perché riceviamo la grazia di avere accanto a noi una vita nuova. Ora ci rivolgiamo a Te, Signore: ascolta la preghiera di questi umili peccatori. Tu che hai detto: ‘Chiedete e vi sarà dato’, concedici questa grazia, per intercessione della Beata Maria Gabriella, tua umile serva e nostra maestra di vita. Amen.
Dopo qualche mese le nostra preghiere sono state esaudite: è nata la piccola Gabriella. Dopo tre anni è arrivata anche una sorella. E questa volta non ci siamo rivolti ai medici ma subito alla Beata…”
Si tratta di grazie, non di miracoli: la differenza consiste nel fatto che il miracolo è una grazia eccezionale, donata per una particolare gloria di Dio, mentre le semplici grazie sono doni che quotidianamente possiamo ricevere dai nostri amici invisibili, affinché tutta la nostra giornata dia gloria al Signore. Ma spesso nella loro umiltà nascosta questi doni cambiano una vita: se un’anziana può muovere le dita, o in famiglia entra una vita nuova, se al posto dell’odio e del rancore subentrano la gioia e la pace, questi non sono miracoli per la scienza, ma per chi li riceve sì. Anche la nostra comunità è segnata da grazie di questo tipo: la sua unità e il continuo afflusso di vocazioni che dalla morte della Beata non sono mai mancate e che hanno permesso a decine e decine di sorelle di partire in missione per fondare nuovi monasteri (dagli anni 60 sono sei le fondazioni, in Italia, America Latina, Indonesia e Filippine).
Una di noi, proveniente dalla Repubblica Ceca, racconta gli inizi della sua santa avventura: “Anni fa ho trovato in un monastero della Germania un’immaginetta e una piccola biografia della beata Maria Gabriella, la cui vita mi colpì per la semplicità della sua offerta a Dio. In quel momento non avrei assolutamente pensato che un giorno avrei fatto parte di quella comunità. Mi ricordo che sfogliando la piccola biografia mi sono fermata sopra la cartina a guardare quei due posti vicino a Roma: Grottaferrata, dove la piccola Gabriella ha vissuto e Vitorchiano, dove si è trasferita la comunità e dove riposano i suoi resti mortali, e sentivo dentro di me come una sorta di attrazione inspiegabile di andare a vedere quei luoghi per me così lontani. Poco dopo dimenticai tutto questo, ma oggi vi vedo un segno del Signore e sono convinta che è stata proprio Maria Gabriella a portarmi qui. In quel momento ho deciso di entrare in quel monastero in Germania ma la difficoltà ad avere il visto me l’ha impedito e il mio desiderio di vivere la vita monastica sembrava andare a monte. Ma la provvidenza (e la Beata Gabriella) non mi ha abbandonato e le persone che cercavano di aiutarmi mi hanno mandato proprio al monastero di Vitorchiano…”
A questa giovane proveniente dalla Repubblica Ceca se ne sono aggiunte altre e ora la nostra comunità è orientata a dare inizio ad una nuova fondazione, la settima, in quel paese. Cose banali, apparentemente, ma che cambiano la vita di una comunità.
Se oggi ci sono monasteri o parrocchie intitolati alla beata Maria Gabriella, non solo in Italia (in India, ad esempio!), se ci sono Congregazioni religiose che la citano nelle loro Costituzioni o che recitano ogni giorno la sua preghiera, se tante famiglie la venerano, se tanti fedeli di altre confessioni la amano e la sentono vicina, tutto ciò non si deve ad opera umana: all’origine c’è stata sempre una grazia. E all’origine di essa c’è il miracolo che continuamente l’amore di Dio, nostro Padre grande e buono ci fa: la continua potente e dolce presenza di Amici.
Paola Tartara