La liturgia del Natale: una notizia che si dilata
La celebrazione del Natale prevede tre Messe con formulari liturgici diversi: la “Missa in nocte”, la “Missa in aurora” e la “Missa in die”. In origine, tuttavia, la Chiesa di Roma riconosceva una sola Messa per il Natale – celebrata in S. Pietro – cioè quella divenuta in seguito la terza Messa, detta “in die” (del giorno): c’erano le vigilie “ad galli cantu” e poi all’ora terza (intorno alle 9 di mattina) c’era una Messa solenne. In seguito al Concilio di Efeso (431), che attribuì a Maria il titolo di “theotòkos” (colei che genera il Figlio), fu rinnovata la basilica di S. Maria Maggiore e nella cripta venne costruita una cappella che riproduceva la grotta della natività[1]. Il Papa Sisto III introdusse allora una Messa notturna, detta appunto “in nocte”, in questa cappella a completamento dell’Ufficio di vigilie, probabilmente imitando quanto si faceva nella liturgia di Gerusalemme. Poi il Papa con tutto il popolo, tornando a S. Pietro per la celebrazione della Messa del giorno, faceva sosta alla chiesa di S. Anastasia dove all’aurora celebrava una Messa per i Greci.
A partire dal X secolo queste tre Messe, che inizialmente erano proprie della città di Roma, divennero tradizione comune di tutta la Chiesa.
Dopo gli introiti dell’Avvento, che annunciano il “grande mistero” (come direbbe Paolo) di una salvezza per tutti i popoli e invocano la “pioggia” del Giusto e il “germoglio” del Salvatore, ecco che i testi delle tre liturgie natalizie, disposti in un crescendo di grande densità espressiva, ci conducono dall’oscurità della notte fino alla luce del pieno giorno seguendo il dilatarsi dell’annuncio di un mistero che si rivela.
Il legame tra le tre celebrazioni è espresso anche musicalmente per il fatto che i canti dei tre introiti della Natività potrebbero essere concatenati uno dopo l’altro: Dominus dixit ad me termina su un RE, che è la nota iniziale di Lux fulgebit, che a sua volta termina su un SOL, con cui inizia Puer natus est.
Dominus dixit – Messa della Notte
Testo:
Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te. (sl 2,7)
Traduzione:
Il Signore mi ha detto: mio Figlio sei tu, io oggi ti ho generato.
Commento:
L’introito della prima Messa inizia con un versetto messianico del salmo 2: ci fa contemplare l’evento dell’incarnazione del Figlio, ponendone in risalto il rapporto divino col Padre. Per fare questo usa il modo II, quello, cioè, che ha l’intervallo più stretto tra le due note cardine: la finalis[2] (RE) e la corda di recita[3] (FA). Siamo introdotti nel dialogo tra il Padre e il Figlio, nella reciproca confidenza intra-trinitaria in cui la parola “Tu sei mio Figlio” genera la Parola. La melodia descrive questo proprio nel continuo passaggio tra le note RE e FA della prima frase. Ma la parola chiave sottolineata dai neumi antichi è meus nella seconda frase, che esprime l’appartenenza come vera forza e identità del Figlio. L’autore gregoriano sembra inoltre essersi “divertito” introducendo numerose ripercussioni, per la precisione (nella nostra versione cistercense) ci sono tre gruppi di due note e tre gruppi di tre note all’unisono. Questo può essere anche un rimando al mistero cantato nell’antifona: le due nature del Figlio e la comunione trinitaria che incessantemente genera e da cui il Figlio viene a noi.
Anche qui risuona l’hodie (oggi) come già nell’introito del giorno della vigilia e nuovamente siamo posti così nella prospettiva di un’eternità in perpetua generazione. Oggi il Signore nasce in mezzo a noi.
Così ne parlava splendidamente papa Benedetto XVI:
“Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”. Con queste parole del Salmo secondo, la Chiesa inizia la Santa Messa della veglia di Natale, nella quale celebriamo la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo nella stalla di Betlemme. Una volta, questo Salmo apparteneva al rituale dell’incoronazione dei re di Giuda. Il popolo d’Israele, a causa della sua elezione, si sentiva in modo particolare figlio di Dio, adottato da Dio. Siccome il re era la personificazione di quel popolo, la sua intronizzazione era vissuta come un atto solenne di adozione da parte di Dio, nel quale il re veniva, in qualche modo, coinvolto nel mistero stesso di Dio. Nella notte di Betlemme queste parole, che erano di fatto più l’espressione di una speranza che una realtà presente, hanno assunto un senso nuovo ed inaspettato. Il Bimbo nel presepe è davvero il Figlio di Dio. Dio non è solitudine perenne, ma, un circolo d’amore nel reciproco darsi e ridonarsi, Egli è Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ancora di più: in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio stesso, Dio da Dio, si è fatto uomo. A Lui il Padre dice: “Tu sei mio figlio”. L’eterno oggi di Dio è disceso nell’oggi effimero del mondo e trascina il nostro oggi passeggero nell’oggi perenne di Dio. Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite. Questo è Natale: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”. Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell’oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci – su ogni bambino, anche su quello non ancora nato[4].
Lux fulgebit – Messa dell’aurora
Testo:
Lux fulgebit hodie super nos: quia natus est nobis Dominus: e vocabitur Admirabilis, Deus, Princeps pacis, Pater futuri saeculi: cuius regni non erit finis. (Is 9,2.6 – Lc 1,33)
Traduzione:
Oggi la luce splenderà su di noi, perché il Signore è nato per noi. Sarà chiamato: Dio meraviglioso, Principe della pace, Padre del secolo che verrà. Il suo regno non avrà fine.
Commento:
Il testo dell’antifona “Lux fulgebit” unisce ai versetti di Isaia le parole che l’angelo rivolge a Maria nel vangelo di Luca: “il suo regno non avrà fine”. L’introito Lux fulgebit, che introduce la Messa dell’Aurora, celebra l’emergere della luce del Salvatore, chiarezza dell’alba, verso cui cammineranno i popoli: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9.1-2). Il Papa e tutto il popolo si recavano prima dell’alba a S. Anastasia: erano letteralmente quel popolo che camminava nelle tenebre in attesa della luce. E la luce è il tema centrale di tutta la Messa: la colletta dice “Signore, Dio onnipotente, che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto uomo, fa’ che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito”.
Il disegno di Lux fulgebit ricorda proprio il nascere del sole: su fulgebit la melodia va sulla corda di recita esprimendo che quella luce è la luce di Dio.
Ritorna nuovamente la parola Hodie: dice che l’Oggi di Dio è giunto a noi e così all’hodie della generazione eterna (nell’introito della notte), prima che la luce venisse creata, risponde l’hodie della generazione nel tempo della Luce increata.
Sulle parole super nos (su di noi) e Dominus il gregoriano usa la stessa melodia come a voler dire che questa luce su di noi è il Signore, il Verbo che “si restringe” e si abbassa.
Il brano si conclude con le parole “non erit finis” (non avrà fine). Qui la melodia si innalza fino alla nota più acuta del brano fiorendo in un ornamento che esprime l’ampiezza senza confini di tempo e di spazio del regno che Dio viene ad instaurare.
La festa del Natale fu celebrata la prima volta a Roma nel 336; secondo alcuni fu per sostituire il culto di Mitra, il dio-sole a cui Aureliano nel 274 aveva eretto uno splendido tempio inaugurato proprio il 25 dicembre, nel periodo in cui le giornate ricominciano piano piano ad allungarsi.
- Agostino nei suoi sermoni sul Natale si esprime in maniera molto evidente contro il culto di Mitra, ma anche contro i manichei che adoravano il sole come principio del bene, invitando piuttosto a riconoscere la vera luce, quella di Cristo, ed accogliere la Sua venuta per diventare noi stessi luce.
“Il giorno della sua nascita porta il mistero della sua luce. Dice infatti l’Apostolo: “la notte è già avanzata, il giorno si avvicina (…)”. Riconosciamo il vero giorno e diventiamo giorno! Eravamo infatti notte quando vivevamo senza la fede in Cristo. E poiché la mancanza di fede aveva avvolto come una notte il mondo intero, aumentando la fede la notte doveva diminuire. Perciò con il giorno del Natale del Signore nostro Gesù la notte comincia a diminuire e il giorno a crescere. Pertanto fratelli festeggiamo solennemente questo giorno, non però come i pagani che lo festeggiano a motivo dell’astro solare, ma festeggiando a motivo di Colui che ha creato questo sole”[5].
Puer – Messa del giorno
Testo:
Puer natus est nobis, et filius datus est nobis: cujus imperium super humerum ejus: et vocabitur nomen ejus, magni consilii Angelus.
Traduzione:
Un bambino è nato per noi, e ci è stato dato un figlio. Il suo potere è sulle sue spalle e sarà chiamato Angelo del gran consiglio.
(Is 9,6)
Commento:
Il testo è preso da Is 9,6 ma con alcuni cambiamenti. Anzitutto il termine “parvulus” della Vulgata è sostituito da “Puer”, che ha un significato più ampio: non vuol dire solo bambino, ma anche figlio e servo. Tenendo presente tutti questi significati si comprende meglio il senso messianico di questo testo: lo stesso “bambino” è da subito inteso anche come “servo”, chiamato a realizzare il piano salvifico del Padre e sulle cui spalle – come avverte la seconda frase dell’introito – è stato posto tutto il potere. Nella Vulgata questo potere si dice che gli viene dato[6], mentre l’introito ci dice che si tratta di un potere suo (cujus), che gli appartiene: quel “bambino” è Dio stesso. Anche l’appellativo di “Angelus” ha un significato di servo, ministro: gli angeli, infatti, sono coloro che stanno sempre alla presenza di Dio. I cristiani dei primi secoli usavano chiamare Gesù anche “angelus”, in quanto Servo di Dio[7].
Le prime due frasi del testo sono costruite in modo parallelo e anche la melodia segue questa struttura, ma sottolinea due punti differenti. Le due parole più evidenziate dalla musica sono puer e datus che costituiscono il cuore di questa prima parte: viene messa così in evidenza la dimensione del Dono, che l’intera umanità ha ricevuto con l’incarnazione del Figlio di Dio.
Entrambe queste prime due frasi si chiudono con un nobis (a noi), che però viene reso in modi differenti: il primo, cantato con note acute e leggere, esprime gioia; il secondo, invece, scende dall’acuto fino alla nota più grave: è stato dato a noi, è sceso per donarsi a noi.
Questo movimento discendente è seguito da un ampio movimento ascendente su cujus imperium dal SOL grave al FA acuto (è l’apice, nota più alta del brano): è nel suo abbassamento che Cristo manifesta tutta la sua potenza e gloria.
La seconda parte è tutta appoggiata sul DO, che è una delle due cosiddette “corde forti”[8]. Come a sottolineare la forza delle “spalle” (humerum) su cui è posto il potere, un potere stabile, pieno e sicuro, al quale possiamo appoggiarci anche noi con tutti i nostri fardelli. Dio si è fatto piccolo bambino, perché nessuno abbia paura di presentarsi a Lui: è l’Onnipotente Misericordia, che viene a noi, affinché noi possiamo andare a Lui.
“Colui che sostiene il mondo intero giaceva in una mangiatoia: era un bambino ed era il Verbo. Il grembo di una sola donna portava colui che i cieli non possono contenere. Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo, allattava colui che è il nostro pane. O grande debolezza e mirabile umiltà, nella quale si nascose totalmente la divinità! Sorreggeva con la sua potenza la madre dalla quale dipendeva in quanto bambino, nutriva di verità colei dal cui seno succhiava. Ci riempia dei suoi doni colui che non disdegnò nemmeno di iniziare la vita umana come noi; ci faccia diventare figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell’uomo”[9].
In nessun altro modo infatti l’uomo festeggia bene il Natale, se Cristo non gli nasce nel cuore. Fa questo ogni volta che riceviamo l’Eucaristia ogni volta che gli apriamo la porta e, nelle mille circostanze della nostra giornata, gli diciamo come Maria e Giuseppe il nostro “Sì, sia fatta in me la Tua volontà!”.
[1] In questa cappella, nel VII secolo, vennero collocate le reliquie della mangiatoia in cui secondo la tradizione fu deposto Gesù Bambino. Questo edificio veniva soprannominato “praesepe” (presepe) e rappresentava Betlemme (come la Basilica del Santa Croce, Gerusalemme). Un magnifico mosaico, sicuramente successivo (XIII secolo), rappresenta la natività con questo curioso presepe a forma di basilica, molto emblematico del luogo.
[2] “Finalis” è la nota con cui si conclude il brano.
[3] Corda di recita o tenore salmodico e la nota principale su cui a seconda del tono si cantano i salmi.
[4] Dall’omelia di Sua Santità Benedetto XVI per la Notte di Natale del 2005.
[5] S. Agostino, Discorso 190, 1, in Nuova Biblioteca Agostiniana
[6] Parvulus enim natus est nobis, et filius datus est nobis, et factus est principatus super humerum ejus.
[7] Ippolito di Roma (II secolo), nella preghiera eucaristica che riporta nella Traditio apostolica, riporta: “Noi ti rendiamo grazie, o Dio, per il tuo Figlio (PUER) prediletto Gesù Cristo, che ci hai mandato in questi ultimi tempi come Salvatore, Redentore e messaggero (ANGELUM) della tua volontà”. È qui evidente il legame tra i due termini puer e angelum.
[8] Do e Fa sono dette corde forti perché essendo immediatamente precedute dai due semitoni naturali (Si e Mi) sono le due note che danno stabilità; diversamente da Mi e Si che rimangono come sospesi.
[9] S. Agostino, Discorso 184, 3, in Nuova Biblioteca Agostiniana